Nel 2004 ho fatto parte della rosa dei relatori del Forum internazionale “Food security under water scarcity in the Middle East”, tenuto a Como. Ho accettato la sfida di trattare il tema dell’acqua a me familiare da un punto di vista teorico-spirituale, ma inserito in un contesto tecnico e specialistico quale quello del dibattito sulle problematiche legate alla scarsità di cibo e acqua in Medio Oriente. Da qui nasce l’idea di evidenziare il rapporto tra parola e acqua, indispensabili all’esistenza umana, la loro interdipendenza e la loro funzione in “Onda Sigillata: Acqua, Vita e Parola” (La Giuntina, 2008).
Nella mistica ebraica, il recupero del valore della parola è l’inizio del viaggio di ritorno verso l’Eden perduto. L’acqua, e lo spirito che diventa parola sono la genesi della Creazione: “e lo spirito di Dio si librava sulla superficie delle acque” (Genesi 1:2).
In questa mia opera ho voluto portare in superficie le equivalenze fra il processo di conoscenza-comunicazione e il mondo dell’acqua nelle sue forme e manifestazioni, nel loro degrado e nel loro possibile riscatto. L’acqua inquinata equivale alla parola fasulla mentre acque cristalline sono simbolo di comunicazione limpida e sapiente.
Dovendo attingere a materiale tratto dai libri più importanti dell’ebraismo: Bibbia, Talmud, Midrash, Zohar e Siddùr, ho cercato di seguire l’esempio e la strada tracciata dai nostri Maestri che li hanno commentati per secoli ponendosi in ascolto, interrogandosi e sviscerando ogni singola parola.
In ebraico, ogni parola apre più prospettive, o meglio, finestre che rivelano più significati e sfumature. Partendo da una parola, da un concetto, ho lasciato che si “espandesse” liberamente su più livelli articolati in brevi paragrafi non necessariamente omogenei fra di loro, come colori o luci che compongono un’immagine in movimento.
Dio ordinò a Noè di aprire “una finestra” nell’arca destinata a traghettare l’umanità oltre il castigo del diluvio e i Saggi hanno aperto molte finestre nelle parole della Torà ed è interessante notare che in ebraico “arca” e “parola” si esprimono con lo stesso termine: tevà, תבה, traducibile in italiano come “contenitore”.
L’appuntamento fisso del venerdì sera per me è la lettura del Cantico dei Cantici e ogni volta che incontravo il verso: “Gan na’ul achotì khalà gal na’ul ma’aian chatum: giardino sigillato tu sei, o sorella mia, o sposa, fonte sigillata, sorgente suggellata” (4:12) mi sorgeva la domanda: perché per indicare una fonte o sorgente veniva usata la parola gal quando invece normalmente si usano altri termini come ma’aian, beer, ‘ayin? La domanda acquisiva ancora più senso dal momento che l’autore del “Cantico dei Cantici” è re Salomone, che sicuramente ha operato una scelta deliberata usando la parola gal.
La risposta l’ho trovata attribuendo alla parola gal il suo senso proprio: “onda”, a costo di rendere meno chiaro il significato dell’intero verso: “Giardino sigillato tu sei, o sorella mia, o sposa, onda sigillata, sorgente suggellata”.
L’immagine di “giardino sigillato” e “onda sigillata” mi hanno spinto ad un lungo periodo di riflessione. I primi risultati si sono concretizzati nello studio del mondo femminile chiuso nel silenzio, simbolicamente simile a un giardino sigillato, gan na’ul, nel mio libro “la Saggezza velata”. La seconda parte del verso rimaneva un quesito a cui trovare una risposta.
Gal na’ul, “onda sigillata” perché?
L’onda sigillata è il vortice caotico che precede la conoscenza; è l’acqua corrente che non trova sbocco e ritorna su sé stessa; è la parola non detta, il pensiero che non trova voce, la frustrazione dell’afasia. L’onda sigillata è la conoscenza di cui noi non abbiamo consapevolezza e che non possiamo esprimere per mancanza di parole, sono le acque nascoste, maim ghenuzìm.
L’onda sigillata è il vortice caotico che procede la conoscenza; è l’acqua corrente che non trova sbocco e ritorno su se stessa; è la parola non detta, il pensiero che non trova voce: afasia tanto più frustrante nell’epoca che offre il massimo della tecnologia nella comunicazione. Lo stesso senso di impotenza ci assale quando consideriamo quale sia lo stato delle acque a nostra disposizione: nonostante gli allarmi e i possibili rimedi la situazione idrica mondiale non fa che peggiorare.
Acqua e parola sono, su piani diversi, indispensabili all’esistenza umana. In questa opera si è voluto sottolineare il parallelismo tra il processo di conoscenza-comunicazione e il mondo dell’acqua nel loro degrado e nel loro possibile riscatto.
È stupefacente rilevare come si possano trovare le soluzioni adatte seguendo semplicemente i principi del sapere millenario che affonda le proprie radici nella Torà.
L’umanità si trova di fronte a una scelta che nei tempi più remoti ha già dovuto compiere: l’Albero della Conoscenza o l’Albero della Vita.
Oggi, come allora abbiamo a disposizione due strumenti principali: il libero arbitrio e l’ascolto, ma se un tempo si trattava di restare o uscire dall’Eden, oggi è questione di sopravvivenza.