Le lettere dell’alfabeto ebraico mi hanno sempre affascinata. Fin da bambina, quando ho imparato a scriverle, e prima ancora a tracciarle e a pronunciarle giocando con le parole, recitando rime e filastrocche. I segni e i suoni si confondevano. Bastava allungare o accorciare un minuscolo trattino ed ecco che nasceva un’altra lettera. La meraviglia che ho provato nell’articolare una serie di segni grafici, ascoltare i suoni e scoprire di aver dato vita a una parola, è stata uguale solo alla gioia di riuscire a decifrare il significato del simbolo scritto e capirne il senso. Se fino a quel momento ero stata attratta più che altro dalle illustrazioni dei libri, ora tutta l’attenzione era rivolta a capire i caratteri neri che le accompagnavano.
Dalle primissime volte in cui ho cominciato a leggere, per me è stato sempre come vedere un film animato. Le parole si trasformavamo in immagini vive popolando la mente di figure, amici fantastici e mondi ideali. Dopo il bacio della buonanotte, le parole del racconto assumevano una diversa forma, pronte a dare vita a una nuova creazione dove regnava il bene, la pace, la giustizia, la fratellanza e la gioia. In questo mondo abitava l’amico immaginario, fedele, leale e benevolo, quello che non mi avrebbe mai delusa, con il quale potevo parlare usando un linguaggio segreto in un mondo invisibile. Quella terra inesplorata si era trasformata nel mio luogo di rifugio dove realizzavo la mia totale libertà di essere. Il libro era diventato la mia stanza privata, la mia casa. In seguito, studiare i vari alfabeti di altre lingue per viaggiare, comunicare e conoscere, mi ha sempre restituito lo stesso senso di grande libertà e indipendenza.
Cominciando poi ad approfondire lo studio della Torà, ho scoperto attraverso i differenti commenti, che ogni parola apre prospettive e visioni oltre il senso e il significato immediato, offrendoci messaggi inaspettati. Come se la parola stessa fosse uno scrigno di conoscenza che deve essere aperto e rivelato.
Insegna il Ba’al Shem Tov, maestro chassidico del XVIII secolo, che il termine arca, tevà, תיבה , significa anche “parola”. Quando Dio ordina a Noè “Fa’ all’arca una finestra… Entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia” (Genesi 6,16, 7,1) intende dire “Fa’ alla parola una finestra” che sarà la tua salvezza. E lo Zohar, il libro della mistica ebraica, afferma che nei tempi della redenzione, la parola sacra sarà l’arca di rifugio dalle acque inquinate da violenza e corruzione. Ma sarà l’uomo, grazie al libero arbitrio, a scegliere se entrarci o no.
Imparare un vocabolo è come aprire una finestra sullo schermo del computer: basta un clic per schiudere altre finestre e visualizzare diversi elementi. Poi si scoprono le origini e le radici, che affondano indietro nella storia e provengono magari da altre lingue. Così ci si accorge che le parole fanno molta strada nel tempo e portano con sé un enorme bagaglio di conoscenza.
Questo libro vuole essere un viaggio che parte dagli insegnamenti dell’Halakhà e arriva fino alle suggestioni dei maestri della Cabbalà. Da questo enorme patrimonio ho cercato di estrarre le idee fondamentali che raccontano la storia della lingua ebraica e di come lingua, pensiero e cultura abbiano creato la storia del popolo di Israele. In questo meraviglioso tragitto mi hanno accompagnata studiosi eccezionali, come Elias Lipiner, il cui gigantesco lavoro di ricerca è contenuto in un libro sulla metafisica dell’alfabeto ebraico ormai fuori stampa, e come Rabbi Yehuda Leib Ashlag, noto come il Ba’al HaSulam, le cui lezioni sulla prefazione dello Zohar, sono state edite dal suo alunno Rabbi Levy Krakovsky in un testo non divulgato al grande pubblico.
In queste pagine ho voluto riproporre lo stile dei testi della Tradizione ebraica: “variazioni su un tema” che ripropongono l’oggetto di studio – in questo caso le lettere, chiamate anche segni – ogni volta da un punto di vista diverso. Questo metodo ha permesso di reinterpretare, rinnovare, arricchire il bagaglio cognitivo e comporre nuove frasi melodiche. Il Talmud si studia a voce alta, cantillando, ripetendo e memorizzando, così come indica la parola mishnà, che in ebraico rimanda all’azione del ripetere a memoria. Ed è questo il motivo per cui la Torà Orale, basandosi sul metodo dell’associazione mentale, ha potuto continuare a evolversi molto più sulla base delle variazioni che non sulla selezione dei temi.
L’ebraico non è una lingua come tutte le altre.
L’Ebraico è lashòn haqòdesh, la lingua sacra, poiché ha origine nel Sacro Santuario del Creatore e ogni lettera è stata disegnata dalla mano di Dio e poi incisa nel creato, nei cieli e nella terra. La Torà è il blueprint, il progetto, il piano usato per la creazione dell’Universo: “I cieli si arrotolano come un libro” dice il profeta Isaia (34,4).
La lingua ebraica non è solo un mezzo di comunicazione tra gli uomini, ma un tramite per comunicare con il Sacro, qedushà.
Frutto di un’approfondita ricerca tra le fonti della Cabbalà, compresi testi difficilmente accessibili e mai tradotti, questo nuovo libro di Yarona Pinhas si presenta come una preziosa raccolta di insegnamenti e suggestioni legati alla tradizione spirituale che ruota attorno all’alfabeto ebraico. Citando Gershom Scholem, le lettere ebraiche sono nella tradizione mistica le configurazioni della forza creatrice di Dio e non esiste un mondo spirituale se non a partire dal linguaggio e dai segni potenti che gli danno voce.
La comprensione della Creazione e delle sue energie passa necessariamente dai misteri che si celano nelle lettere; al tempo stesso la nostra presenza nel mondo, il saper vivere pienamente ed eticamente passa dalla consapevolezza della forza insita nella singola lettera e dell’importanza di un uso corretto del linguaggio.
Questo libro vuole essere uno strumento per lo studioso di Cabbalà ma anche una porta d’ingresso, fatta di allusioni e fascinazioni, per chiunque percepisca il richiamo della mistica e la potenza delle lettere con cui l’universo è stato creato.